Incorreggibilmente Italiani
È nei dibattiti sui diritti delle minoranze che dimostriamo tutta la nostra italianità. Dal lontano 1964, anno di uscita del saggio di Barzini “Gli Italiani - Virtù e vizi di un popolo”, siamo cambiati ben poco.
Mai incipit di post fu talmente travagliato. Colpa di quella voce (apparentemente) interiore che vorrebbe scrivessi, sotto sua dettatura, un prologo cauto, a scanso di equivoci, che indicasse chiaramente la mia posizione politica (ma anche sociale, religiosa, etica ecc.); un preambolo, insomma, che guidasse il lettore nel suo irrefrenabile impulso di etichettarmi sin dalle prime righe, così da decidere se proseguire o meno nella lettura, in base all’esito del suo (pre)giudizio: sono una dei suoi o no? Ci ho pensato un bel po’, per poi realizzare che quella voce (apparentemente) interiore parla italiano ed è figlia del Paese in cui vivo. Ironicamente, si sarebbe trattato di un prologo intriso di quella stessa italianità che mi accingo a contestare. Del resto, sono Italiana anch’io.
Dal lontano 1964, anno in cui Luigi Barzini scrisse “Gli Italiani — Virtù e vizi di un popolo”, uno splendido saggio in cui provava a descriverci agli Americani, è cambiato molto, ma noi Italiani decisamente meno. Tanto per cominciare, siamo rimasti un popolo organizzato in corporazioni (politiche, religiose, economiche ecc.), delle quali siamo costantemente e volutamente in ostaggio: all’essere audaci ed espliciti preferiamo conformarci alle idee della corporazione di cui facciamo parte. Non meno importante, siamo tuttora impareggiabili nell’arte della rappresentazione, ovvero, siamo estremamente abili nel dare di noi l’immagine che desideriamo, spesso allontanandoci di molto da quello che siamo veramente. Mai, come in Italia, si ha l’impressione che qualsiasi argomento rappresenti solo l’occasione per lotte infinite tra fazioni contrapposte il cui interesse è la mera salvaguardia di se stesse, più che la questione al centro del dibattito.
Beninteso, tali vizi non conoscono confini, tuttavia essi trovano, diciamo così, terreno particolarmente fertile nel Belpaese, dove sono all’origine di contraddizioni o situazioni “ossimoriche” che lasciano a dir poco perplessi (se si mette a tacere quella voce): leghisti da sempre anti-meridionali che, in tempi recenti, hanno iniziato a strizzare l’occhio al sud; elettori ed eletti di sinistra che deridono, sbeffeggiano, disprezzano misure di sinistra (promulgate da partiti non di sinistra) come il reddito di cittadinanza; Italiani cattolici che credono nell’eguaglianza dinanzi a Dio di tutti gli uomini, purché non si tratti di omosessuali, famiglie diverse da quella “tradizionale” o donne che hanno abortito che, evidentemente, sono un tantino meno uguali degli altri agli occhi del Signore.
La lista è, inutile a dirlo, molto più lunga, ma non è mia intenzione dilungarmi. Il punto è che non siamo cambiati quasi per nulla dal 1964 di Barzini e questo è estremamente deludente. Sarebbe auspicabile che imparassimo a discutere di un dato argomento affrontandone le evidenze a favore ed a sfavore, cercando di allontanare o per lo meno ridurre ogni influenza ideologica ed ogni tentativo volto a metterci in bella mostra dinanzi al resto della corporazione cui siamo tanto fedeli. Un approccio più imparziale, insomma.
In Italia , tuttavia, è di fatto impossibile trattare di temi come il disagio sociale, l’immigrazione, il ruolo della politica, le scelte etiche, senza che vi sia il solito scontro tra fazioni rivali, accompagnato dal consueto vezzo di marchiare gli avversari come cavalli. Se chiedi di accogliere sei un buonista, se chiedi di regolamentare l’immigrazione sei un razzista o fascista. Se vuoi l’Europa e basta sei un europeista, ma se vuoi un’Europa più imparziale sei un anti-europeista. Il M5S del reddito di cittadinanza è di destra, ma chi ha abolito l’articolo 18 è di sinistra. Se voti a destra sei sempre fascista per quelli di sinistra. Se voti a sinistra sei un radical chic o uno dei centri sociali o un comunista mangia-bambini. Se assecondi le richieste del popolo sei un populista, in caso contrario fai parte dell’élite. Se scrivi un commento o un articolo contrario al pensiero di un tale, a prescindere dalla sostanza delle tue argomentazioni, sarai, per quel tale, sempre e comunque un pennivendolo o un troll. Se sei di destra, gli immigrati ci rubano il lavoro, se sei di sinistra, gli immigrati fanno i lavori che gli Italiani non vogliono più fare. È come se fossimo perennemente nel bel mezzo di una gara, una gara in cui se la giocano sempre le solite squadre coi rispettivi schieramenti di ultrà schiumanti di rabbia, anche loro in campo. Una sorta di calcio fiorentino il cui campo da gioco è però l’intero territorio nazionale. I fumi, le luci, il chiasso non permettono di decifrare mai cosa sta succedendo e, non meno importante, cosa non sta succedendo.
Mai, forse, come nei dibattiti sui diritti delle minoranze (poveri, immigrati, omosessuali, malati terminali e via discorrendo) gli Italiani dimostrano tutta la loro italianità (la ridondanza è voluta). È su questi terreni impervi che si giocano le partite più violente, acclamate a furor di popolo, in cui tutti non vedono l’ora di indossare la divisa della propria corporazione e di mettere in scena l’ennesimo patetico spettacolo da figurante. Tutti partecipano al clamore collettivo, non certo per esultare dinanzi ad un virtuosismo da goleador — a prescindere dalla maglia indossata - o per deprecare un evidente fallo — a prescindere dalla maglia indossata, ma per mostrare agli altri tifosi di quale squadra fanno parte. Quello che succede davvero in campo poco importa, l’unico vero obiettivo è tornare a casa con il sorriso soddisfatto di chi appartiene ad un gruppo e, quindi, non è solo. Perché chi è senza squadra, in Italia, non può riuscire in nulla. Barzini docet.
Le partite più furiose si giocano sul tema dell’immigrazione. È lì che il polverone sollevato è talmente alto e denso, che non c’è moviola che tenga. Eccoli i riottosi gettar benzina sul fuoco del sentimento nazionalista, fomentare l’odio, scagliarsi contro pochi deboli umani alla ricerca di una opportunità. Del resto, pochi e deboli sono da sempre le caratteristiche di quelli nel mirino di queste pecore travestite da lupi. Il loro, ahimè, è l’opposto del senso comune di nazione, ma la loro mente è talmente cieca da non vedere l’immenso individualismo dietro ogni loro azione. Il loro lavoro, il loro senso di sicurezza, la loro famiglia italiana: è il loro mondo in cui hanno a tal punto fallito da usare come capri espiatori povere anime disperate. Eppure, è della nazione tutta che parlano nei loro slogan.
E gli avversari? Su quest’altra metà del campo c’è decisamente una tendenza minore a compiere falli (minore, ma non nulla: esempio 1, esempio 2, esempio 3). Questo implica che, data la gran confusione in campo, è ancor più difficile identificare nel polverone sabbioso le azioni e le mosse scorrette di questi giocatori. Bisogna dunque aguzzare la vista, tenere a mente tutte le manovre e rilevare anche i più piccoli dettagli indispensabili. Un esempio? Pochi mesi fa, abbiamo tutti assistito allo scontro tra il governo italiano e quello francese, nato principalmente dalle polemiche sulla questione migranti e sull’incontro Di Maio-gilet gialli. Varie squadre si son schierate sin dall’inizio a fianco della Francia. Approfittando della confusione ed indecisione tra le file del M5S (sfiancati dal supplizio di chi, non volendo scegliere alcuna delle due metà di campo, corre a perdifiato a destra e a manca, prendendo mazzate un po’ da chiunque), si distingue sopra tutte il PD, una delle migliori squadre in campo contro le maglie nere, che in quest’occasione sfodera tutto il suo aplomb rivoluzionario. Uno degli attacchi più duri degli esponenti del PD, che mette a dura prova gli avversari, è l’introduzione dell’icona della bandierina francese sul profilo Twitter ufficiale della squadra.
Ecco che, a seguire, tutti i più strenui sostenitori del PD, emulando l’azione dei loro goleador, aggiungono la stessa icona allo spazio dedicato alla descrizione del loro alter ego social. Alcuni, addirittura, usano la bandiera francese come immagine del loro profilo Facebook/Whatsapp. Era l’alba della presa della Bastiglia italiana. È stato tutto molto bello, ma si è rivelato ben presto un fuoco di paglia: pochi giorni dopo, infatti, le icone delle bandierine francesi sono state rimosse da Twitter, lasciando il posto alla più onesta “Opinions are my own”, mentre la foto profilo è stata prontamente sostituita da una foto sulla neve con gli sci (era il periodo della settimana bianca e quindi sticazzi).
È decisamente curiosa l’idolatria di questa squadra per la Francia, per varie ragioni che non richiedono neanche di scomodare vecchi scheletri nell’armadio colonialista dei nostri cugini, come i genocidi e gli stupri in Algeria. Basti pensare, per esempio, allo spray al peperoncino usato dalla polizia francese contro i migranti, bimbi inclusi, e ad altre violazioni dei diritti umani subite da migranti e raccolte nel report di Amnesty International; alla donna immigrata incinta trascinata giù dal treno da gendarmi francesi ed un’altra respinta in inverno al confine (poi morta); ai migranti respinti e rimandati in Italia; all’approvazione di una controversa legge sull’immigrazione, fortemente criticata ma di fatto approvata; alle ambiguità ed agli interessi dietro l’intervento in Libia nel 2011. Falli da cartellino rosso, qualcuno potrebbe osservare. Pare, tuttavia, che se a commetterli sono quelli della squadra alleata (alleata a sua insaputa), non costituiscono un problema. Del resto, in assenza di strategie d’azione, non ci si può permettere di far troppo gli schizzinosi.
La Francia, dal canto suo, chiamata in causa nella solita zuffa all’italiana se la ride di gusto (come del resto fa da secoli) e prosegue fiera e imperterrita per la sua strada. Si fa paladina dei diritti dei migranti, mentre è protagonista di “continui controlli di identità, schedature dei solidali, minacce di procedimenti giudiziari, convocazioni a giudizio, perquisizioni, detenzioni” verso chi aiuta i migranti al confine e mentre viene condannata per violazioni della Convenzione europea sui diritti umani dalla Corte di Strasburgo. Parla di “ingerenze inaccettabili” da parte dell’Italia, ma continua a non concedere l’estradizione ad ex-terroristi italiani, in quanto “secondo i francesi, nei processi italiani degli anni Settanta e Ottanta non venivano rispettate tutte le garanzie a favore degli imputati previste dal diritto d’oltralpe”. “Occorre ricostruire un’Europa più unita e più forte”, dice Macron da Fazio, ma il Trattato di Aquisgrana con la Merkel va in un’altra direzione, quella dell’asse franco-tedesco. E se l’Antitrust ha bocciato la fusione tra Alstom e Siemens in campo ferroviario, la Francia prova adesso a cambiare le regole che non le piacciono. E non sarebbe certo la prima volta: “È già successo: il 18 ottobre 2010, a Deauville in Normandia, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy avvertirono i partner europei, via cellulare, che avevano raggiunto un’intesa- immediatamente “bocciata” dalla Bce e dai mercati — su come affrontare la crisi. Commissione, Consiglio e Parlamento erano stati sorpassati”. Per finire, uno schiaffo da maestra. Dopo essersi presa il merito di aver dato i natali a Leonardo da Vinci (ironicamente, il genio toscano fu costretto a fuggire da Milano nel 1499 proprio in seguito alla conquista della città da parte dei francesi), la Francia ci riprova annunciando il prestito dell’Uomo Vitruviano e dell’Autoritratto, mai di fatto contrattato con l’Italia. Francia-Italia 1:0. A salvarci, ci ha pensato il tedesco Eike Schmidt, direttore degli Uffizi. Francia-Italia 1:1, con assist della Germania.
Quanto bisogna odiare il proprio avversario italiano per preferirgli tale alleato straniero? Ritorna alla mente, prepotente, il saggio di Barzini, attuale più che mai, con le sue descrizioni incomparabili del rapporto tra gli Italiani e gli stranieri e le sue fonti più che incisive. Questo, per esempio, scriveva nel 1867 il patriota Massimo d’Azeglio, ne “I miei Ricordi”:
Nonostante le giornate estive ed i fatti di Bibbiano in Emilia Romagna che vedono coinvolto anche il sindaco PD (la Carcosa italiana, per chi ha visto True Detective 1), la squadra protagonista della primavera italiana a colpi di emoticon e foto profilo è scesa nuovamente in campo per il caso della Sea Watch. Gli avversari, i soliti, non si sono fatti attendere. Il caposquadra Salvini, naturalmente, ne ha subito approfittato per continuare la sua propaganda travestita da crociata. Diversi poi i fuoriclasse che si sono distinti per gli insulti a Carola Rakete, la comandante, arrivando ad augurare il peggio che si possa augurare ad una donna. Evidentemente, questi giocatori son davvero scarsi e, in passato, devono aver sbagliato molti calci di rigore. La frustrazione è tale che sono in grado di giocare solo a colpi di fallo.
Colpi bassi, da cartellino rosso, che richiederebbero l’espulsione immediata di chi li ha commessi. Se ci fosse un arbitro imparziale. Ma l’arbitro non c’è. Ecco dunque la solita offensiva della sinistra rivoluzionaria che, sbraitando e scalciando caoticamente, rende il polverone ancora più opaco e denso: invece di isolare i responsabili del fallo da cartellino rosso, scendono in campo per sfoggiare la loro nuova idolatria, quella per Carola Rakete, definita la loro comandante. Chiedono l’espulsione di chiunque non sposi la venerazione della loro capitana. Calcolano rotte di navi, disquisiscono di diritto del mare. Hanno già messo tutti i pesi su uno dei due piatti della bilancia, mentre le indagini sono tuttora in corso.
Comprendere cosa diamine sta succedendo è praticamente impossibile. Nel mentre, la Corte Europea respinge il ricorso per lo sbarco di alcuni migranti a bordo della Sea Watch. L’Olanda prende invece le distanze da Carola. Rivolgendosi a Salvini: “Siamo dispiaciuti, quanto Lei, delle scelte fatte dalla capitana della Sea-Watch 3, che avrebbe potuto affidare le operazioni di salvataggio alla guardia costiera libica. (…) Avrebbe potuto far rotta sulla Tunisia e chiedere il permesso di attracco lì ma invece, intenzionalmente e unilateralmente, ha deciso di far rotta su Lampedusa e violare le acque territoriali italiane, ben consapevole di commettere un reato. Avrebbe anche potuto scegliere un porto di approdo per la Sea-Watch 3 in Olanda. Contrariamente a quanto da Lei affermato nella Sua lettera, la capitana non ha mai fatto richiesta di sbarcare in Olanda”. La parlamentare olandese Tineke Strik, dal canto suo, trova “imbarazzante e indegno il comportamento di tutti gli stati membri del Consiglio d’Europa nei confronti di quanto sta accadendo alla Sea Watch 3”, che “lasciano che l’Italia faccia il lavoro sporco”.
Ma tutto questo, nel grande caos delle zuffe perpetue, passa inosservato. Come sono passati inosservati i centri di detenzione dei migranti in Libia voluti da Minniti, il consenso di Renzi allo stop agli sbarchi e tanto, tanto altro:
Si potrebbe osservare che i falli son falli anche quando li commettono quelli della propria squadra. Che augurare stupro e morte costa davvero poca fatica. E che anche essere (sentirsi) migliori di chi augura stupro e morte costa davvero poca fatica. Poi si potrebbe osservare che ridurre qualsiasi posizione divergente dalla propria a puro buonismo o fascismo (dipende dalla metà di campo in cui si gioca) è molto semplicistico ed assolve sempre da ogni responsabilità. Che la mente dei violenti (a fatti o parole) ha gravi limiti. E che l’empatia ha dei limiti e difficilmente conduce a risultati concreti. Che la verità si palesa quando la mente è sgombra e la bocca è chiusa. Ma per poter pensare tutto questo, dovremmo fermarci e deporre la nostra divisa. Ed allora vedremmo riflessa nello specchio la nostra figura nuda, spoglia di ogni italianità. Una nuova voce farebbe capolino nella nostra mente e, sgomenti, torneremmo lesti a vestirci della nostra vecchia divisa. Quella voce, raccontano i temerari ignudi che hanno superato l’atroce esperienza, è sempre la stessa e recita “Opinions are my own”.